Bunbury e il call center: "...scusi posso?". Ma anche NO

Premessa 1
A volte non c'è modo di distinguere una bugia da un errore.
Altre volte la differenza è lampante e l'unica cosa saggia sarebbe tacere.

Premessa 2
I call center non sono tutti uguali, alcuni sono buoni e sono semplicemente a nostra disposizione, in attesa, senza tormentare nessuno a tutte le ore del giorno e della notte. Sono i call center IN-bound, pensati per ricevere chiamate, non per farle, e si differenziano dai call center OUT-bound che, al contrario, dovrebbero essere inghiottiti oggi stesso dalle fiamme dell'inferno.
Bunbury
C’era una volta Bunbury, un lavoratore immaginario e malaticcio. A seguito della sua assunzione presso una certa azienda di un certo settore, Bunbury venne automaticamente iscritto (tramite il suo nuovo datore di lavoro) ad un certo fondo sanitario. E fu così che divenne assicurato e, data la sua salute estremamente cagionevole, era determinato a beneficiare dei numerosi servizi offerti che, per lui, erano particolarmente importanti.
L’azienda gli comunicò le generalità del Fondo (immaginiamolo simile al “Fondo Sanitario Integrativo Metalmeccanici PMI”), e lo informò dell’esistenza di un apposito numero verde da chiamare per avere informazioni e per attivare la polizza (per ipotesi un numero simile a 800009674). Nessuna azienda avrebbe potuto fornire questo servizio in autonomia, per tale motivo era normale affiancarsi ad importanti e strutturate compagnie assicurative per l’erogazione delle coperture. In questi casi si sceglievano le migliori, quelle che danno più garanzie, senza badare a spese.
Fu così che Bunbury chiamò il call center e, dopo una breve (per fortuna) musichetta gracchiante, sentì questo brillante messaggio registrato:
"Gentile cliente, per fornirle il servizio occorre la sua autorizzazione al trattamento dei dati personali svolto da UNISALUTE quale titolare, come previsto dalla normativa privacy. L'informativa completa è disponibile sul sito vuvu punto unisalute punto it Per autorizzarci prema un tasto da uno a nove entro cinque secondi, diversamente non potremo erogare tale servizio...
tic tac tic tac tic tac ...
Gentile cliente siamo spiacenti ma, non avendo ricevuto l'autorizzazione al trattamento dei dati personali, non possiamo erogare il servizio.
Click!
Tuuu tuuu tuuu..."
La faccia di Bunbury assunse un'espressione a metà tra il dispiaciuto, il perplesso e il compassionevole, simile a quella di chi vede un cane malato a passeggio che cammina grazie alla sedia a rotelle. "Unisalute sarebbe il Titolare del trattamento? Se questa è la premessa, ho paura ad andare avanti...", pensò.
Bunbury era fragile ma non stupido e, ricordandosi bene i corsi di formazione tenuti dal suo amico DPO, non si soffermò più di tanto sulla questione del titolare, anche perché, per una situazione analoga, ricordava di aver sentito il DPO dire "peggio per loro", o qualcosa di simile. Senza tentennamenti, andò quindi a controllare l'informativa privacy sul sito.
"Che antipatici, così è molto scomodo, non potrebbero impostare un numero da digitare per selezionare l'ascolto dell'informativa al telefono?" pensò Bunbury.
La ricerca si rivelò una frustrante caccia al tesoro. L'informativa che trovò si riferiva solo al sito web, non diceva nulla del call center. Solo verso la fine della pagina, dopo parecchio tempo, nella sezione "documenti utili" Bunbury trovò una serie di altre informative dai nomi esotici che, almeno in un caso, stimolarono la sua curiosità: "Informativa per il recall del call center".
Bunbury aveva l'impressione di essere stato proprio lui a chiamare il call center, e non capiva pertanto il senso di quel "recall"... senza remore aprì il PDF... Bingoooo!!! Nonostante le apparenze contrarie, era proprio l'informativa corretta.
Bunbury non era stupido ma non era nemmeno una cima, quindi lo scoramento davanti a tre pagine scritte in legalese lo fece vacillare. Con coraggio e memore dei rudimenti della materia, andò subito al nocciolo della questione cercando le finalità e le basi di legittimazione.
"Le finalità sono gli scopi per i quali i dati sono trattati e li definisce il titolare. Le basi di legittimazione sono ciò che rende legittimo tale trattamento e vanno individuate tra quelle previste dalla legge". Questo diceva il DPO e Bunbury ricordava bene che tra le tante basi di legittimazione fosse proprio il consenso quella normalmente utilizzata solo da chi te lo voleva mettere nel...ehm, da chi ti voleva fregare. Bunbury non rammentava affatto l’esistenza di una cosa chiamata "autorizzazione", come recitava il messaggio del risponditore vocale.
"Autorizzazione assomiglia a consenso, sarà la stessa cosa?" si domandò Bunbury. Il suo dubbio era tutt'altro che peregrino e, ad occhi attenti, quella ambiguità avrebbe potuto essere interpretata come un modo per sviare l'attenzione, per intorbidire le acque e non mettere in allarme la persona che sta chiamando. A pensar male, lo scopo avrebbe potuto essere quello di facilitare il processo di accettazione di qualcosa che si desiderava che venisse accettato. Un Dark Pattern a tutti gli effetti. Ma Bunbury aveva fatto solo un corso introduttivo sulla privacy e non aveva ancora sviluppato le virtuose paranoie che caratterizzano i cultori della materia.
Proseguendo nella lettura dell'informativa, Bunbury trovò velocemente le finalità che cercava:
"F1, ci siamo, questa cosa assomiglia a ciò che sto facendo;
F2, non penso, sarà una cosa che altre persone hanno fatto a mio vantaggio;
F3, ma chissenefrega;
F4, obblighi di legge, ci sono sempre." pensò Bunbury.
C'era anche un F5 che parlava di tutela giudiziale e difesa dei diritti, ma non essendo Bunbury un lestofante, non gli diede alcuna importanza.

Scorse alcune righe, Bunbury trovò anche le BASI DI LEGITTIMAZIONE e andò subito alla ricerca del consenso, per capire a cosa diamine volessero farlo acconsentire al telefono, o meglio, cosa avrebbe dovuto "autorizzare". Niente, nemmeno l'ombra: in tutta l'informativa non c’era nemmeno una finalità basata sul consenso. Il consenso, in questa informativa, non esisteva. Le uniche basi di legittimazione presenti erano quelle prevalenti sul consenso, tali da escluderlo e renderlo addirittura un errore: adempimenti di legge, adempimenti contrattuali.

Bunbury non era una cima ma non era nemmeno un santo ed iniziò ad incazzarsi, anche perché aveva l'impressione di non capire più nulla: che senso avrebbe avuto manifestare un consenso, peraltro obbligatorio, se non veniva nemmeno spiegato a che cosa avremmo acconsentito?
Sarebbe stato un po' come pensare di incontrare un passante qualunque per strada e dire: "scusi, posso?" e, se lui/lei avesse risposto "sì certo!", baciarlo con la lingua! Non penso si sarebbe potuto parlare di vero amore e nemmeno di un rapporto consensuale.
Bunbury era turbato anche dal fatto che il suo pittoresco amico DPO gli aveva ripetuto almeno venti volte che il consenso non avrebbe potuto mai, mai, mai e poi mai essere necessario né obbligatorio. Ma proprio mai, fu categorico, e aggiunse che negare il consenso non avrebbe mai potuto pregiudicare una prestazione alla quale si avesse diritto, come l'esecuzione di un contratto, un servizio richiesto e ogni altra cosa normale della vita.
Cosa stava accadendo? Bunbury stava forse impazzendo?
A questo punto della storia parrebbe che Oscar Wilde avesse ceduto penna e calamaio a Kafka, perché il povero Bunbury fu precipitato in una situazione senza senso, senza regole, senza logica, senza futuro, e tuttavia molto ironica.
Fu così che Bunbury chiamò il suo amico DPO per un aiuto.
A beneficio di Bunbury, e di chiunque gestisca un call center inbound, il DPO disse banalità tali da sembrare scontate:
"Chiunque gestisca un call center dovrebbe farlo provare al proprio DPO, facendogli fare una telefonata. Se non è un debosciato, dovrebbe accorgersi immediatamente di errori come questo. Pur non sapendo dove sia inceppato il meccanismo, un'incoerenza simile, così pericolosa, dovrebbe essere gestita immediatamente: non è solo un errore ma una vera e propria violazione del GDPR. Non si può chiedere il consenso a vanvera, non si può dire agli utenti che il consenso è necessario e che senza di esso non verrà erogata una prestazione. Soprattutto non si può scrivere nell'informativa una cosa diversa rispetto a ciò che viene detto nell'informativa breve telefonica. In una situazione del genere, il Garante non potrebbe fare a meno che sanzionare pesantemente."
La buona sorte volle che Bunbury non inviò un reclamo o una segnalazione al Garante e vissero tutti felici e contenti, nella speranza di non dover più chiamare un call center tanto scalcagnato.
Epilogo
La vicenda non era ancora conclusa.
Contrariamente alle aspettative, il cagionevole Bunbury, non sapendo se vivere o se morire, campò ancora a lungo, almeno sino al giorno in cui il suo amico DPO, ricordandosi di lui, lo richiamò.
Ma Bunbury non rispose.
Lo richiamò di nuovo... ma niente.
Il DPO iniziò a preoccuparsi, quindi riprovò con un fisso... ancora niente.
Alla fine mandò un messaggio di testo e Bunbury finalmente rispose.
Si scoprì così che Bunbury aveva smesso di accettare le chiamate che non si aspettava di ricevere, i numeri che gli risultavano sconosciuti o le chiamate anonime. Bunbury aveva cambiato radicalmente il suo modo di relazionarsi con il telefono proprio a causa delle infinite chiamate da parte di altri call center outbound, quelli cattivi, che lo tartassano ad ogni ora, che lo fanno parlare con voci registrate, che gli propongono incredibili offerte, che lo chiamano per assillanti richieste di informazioni su investimenti offshore in blue chips, perfettamente ignote a Bunbury.
Bunbury non aveva idea del motivo ma, di punto in bianco, da un certo giorno in poi iniziò questo inferno.
Bunbury non era un santo ma non era nemmeno malizioso al punto da mettere in relazione la sua chiamata a quel call center inbound con il fatto che il suo numero fosse stato condiviso con cani e porci, ma parlando con il suo amico DPO il dubbio gli venne.
Il DPO faticò molto per rassicurare Bunbury sul fatto che aver premuto quel tasto e aver dato quell'inutile consenso non sia stata la causa delle chiamate notturne, che le grandi compagnie non fanno queste cose e che, con ogni evidenza, tutta la vicenda era solo un banale errore.
Poor Bunbury, così sfortunato e così malfidente. Per aiutarlo a gestire meglio eventuali future situazioni analoghe, l'amico DPO gli diede tre preziosi consigli, con la preghiera di farne buon uso:
1) non dare MAI alcun consenso. A costo di fare la figura dei rompiscatole, bisogna insistere sul fatto che non è necessario per poter procedere. In un caso come questo, è meglio abbandonare il call center e scrivere una mail, una PEC, chiamare un altro numero dello stesso ente. Piuttosto che arrendersi e dare un consenso a vanvera è meglio perdere un'ora e presentarsi alla porta per lamentare il fatto.
2) lamentarsi con la fonte del problema, ovvero colui che ha scelto un partner cialtrone. Il suo datore di lavoro gli deve delle spiegazioni.
3) una situazione di questo tipo riguarda Bunbury ma riguarda anche “millemila” altri lavoratori che, come lui, chiamano quel call center e usufruiscono delle stesse prestazioni. In questi casi, l'unico che può fare qualcosa è il Garante e il Garante non passerà da quelle parti per caso o per ammirare il panorama. Il Garante va avvisato con una segnalazione oppure con un reclamo. Non è difficile e va fatto esattamente come va denunciato il furto di un motorino. Anche se non è una gran perdita, denunciare il reato è un dovere civico, così come è un dovere denunciare la violazione dei diritti alla protezione dei dati personali, specialmente quando il problema è collettivo.
Ma, dopotutto, questo è solo un racconto di fantasia e con la fantasia si possono raccontare tragedie come se fossero leggere e anche belle cose come se fossero le peggiori... un mondo meraviglioso dove è bello perdersi, a patto di sapere che il mondo reale è differente e, in certi casi, assomiglia ad un blocco di granito contro il quale è meglio non schiantarsi.
Per capire,
per essere consapevoli,
per difendersi.
PS: Questo articolo, come molti altri, è stato possibile solo grazie al prezioso aiuto di Niccolò Berni, amico dall'occhio infallibile, capace di scovare una virgola mancante anche in una subordinata annidata in un paragrafo frattale o una formattazione sbagliata in un manifesto futurista. Oggi mi ha salvato da un groviglio di consecutio temporum diventato indistricabile.
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