Mater semper certa fuit: c'è chi vende i propri ecoceronti.

Claudia ci porta in luoghi lontani e che conosce bene, che sa decifrare, e ci regala una corretta interpretazione di un recente fenomeno Giapponese: la vendita degli ecoceronti. In effetti, in Giappone si commercia di tutto, ma il ninshin sagi, per me, è una novità.
Il "sol levante" si chiama così per un buon motivo: mentre scrivo, a Milano sono le 23:30 di domenica sera. A Tokyo è lunedì mattina. Il Giappone vive nel futuro.
Essere un passo in dietro ci da un grande vantaggio: poter prevedere ciò che sta arrivando, evitare l'effetto sorpresa e riuscire ad anticiparle di conseguenza.
Al netto delle infinite differenze culturali, le tendenze nipponiche osservate da Claudia arriveranno anche nel vecchio continente e si presenteranno come un nuovo fenomeno da gestire. Poter essere già pronti non ha prezzo, sempre che si voglia fare lo sforzo di guardare oltre la curva.
Volendo approfondire, seguendo i suggerimenti e i link di Claudia, ho letto alcuni siti e articoli in giapponese. Mio malgrado, ho dovuto utilizzare Google Translator ed è così che ho scoperto che c'è chi vende ecoceronti. In realtà, si tratta di ecografie, ma il termine appena coniato dal traduttore è fantastico e rende bene, oltre al significato proprio, anche la vastità del fenomeno e l'impatto che il tema può avere sulla nostra società.
Buona lettura
CB
Quando la vita diventa merce: il mercato nero delle ecografie
In Giappone la piattaforma Mercari, l’equivalente delle nostrane Vinted e Subito, ha deciso di proibire la vendita di foto ecografiche prenatali (e talvolta test di gravidanza positivi) a partire dal 1 settembre 2025 (il comunicato ufficiale qui: https://jp-news.mercari.com/articles/2025/08/25/4b30ee2e18/).
Le ragioni addotte non sono esattamente chiare, restano piuttosto sul vago: “rientrano tra gli oggetti dichiarati inappropriati”. Ma dietro ci sono segnalazioni secondo cui tali immagini venivano utilizzate in truffe di tipo “fake pregnancy” (in giapponese ninshin sagi) in cui una persona dichiara di essere incinta per ottenere denaro o per ricattare qualcuno (qui: https://www.odditycentral.com/news/online-flea-market-bans-the-sale-of-ultrasound-photos-to-prevent-pregnancy-fraud.html e qui: https://www.alojapan.com/1356417/japanese-online-marketplace-begs-people-to-stop-selling-ultrasound-photos/).
In alcuni casi le inserzioni proponevano immagini con addirittura data e nome della paziente modificabile (direttamente sulla foto) a prezzi “modesti”: ad esempio, un pacchetto ecografie personalizzabili costa in media 3.000¥, circa 25€ (qui: https://newsonjapan.com/article/146699.php).
Perché il mercato lo richiede: due fronti opposti e disgustosi
La truffa della gravidanza
Non serve lavorare troppo di fantasia: una tipica situazione vede una persona dichiarare una gravidanza anche solo dopo un rapporto intimo. Questo succede per le più svariate ragioni: ripicche, morbosità, gelosia, denaro, ricatto.. la mente umana non ha limiti nell’indecenza.
Oppure situazioni in cui il “commitment” ufficiale sia una relazione senza figli; al palesarsi di una improvvisa gravidanza, scatta il ricatto per estorcere soldi (per l’aborto, per far adottare il bebé, per sparire dalla circolazione, ..).
Acquistare un’ecografia (ma anche pance finte, prescrizioni mediche, farmaci, esami diagnostici) rende l’inganno più credibile. Aggiungiamo anche che l’ecosistema digitale rende tutto più fluido (messaggi, screenshot).
Non ci sono al momento numeri ufficiali che dimostrino quanto sia diffusa questa pratica, ma è la percezione pubblica che ha spinto alla reazione di sdegno, facendo emergere la problematica.
L’industria delle immagini (e della privacy)
Il fatto che le immagini di un’ecografia possano essere vendute, condivise, duplicate, personalizzate, apre scenari di rischio molto gravi per la privacy della madre, del feto, del nascituro.
Dietro questo commercio possono entrare in gioco strumenti di OSINT (open-source intelligence) e SOCMINT (intelligence sui social) per la ricerca di immagini che collegano le foto ad altri dati personali: profilo social, dati clinici, metadati digitali.
Banalmente, come successo per i siti di condivisione illegale di foto di donne inconsapevoli di essere ritratte, cercare in rete può far risalire alle identità delle donne (ma anche uomini) che hanno pubblicato momenti di felicità. Non sono scenari nuovi: il marketing si avvale di questo tipo di ricerca per meglio profilare gli utenti.
È una vulnerabilità. Personale.
Ma c’è di peggio. Il medico (e la struttura sanitaria) ha una responsabilità deontologica: un’immagine ecografica è un documento clinico o para-clinico, con implicazioni etiche. Personale, sensibile, che nasconde fragilità sotto vari livelli - pensiamo ad esempio ad una giovane donna che scopre di aspettare un bambino. È pronta? Sa come dirlo al partner? Alla famiglia? Al lavoro? Alla scuola? Ha i mezzi per poterlo mantenere? Verrà sostenuta nella scelta? Potrebbe essere allontanata dalla famiglia? Licenziata? Esposta a situazioni pericolose?
Consentire che queste immagini finiscano facilmente sul mercato è un fallimento della tutela.
Menzione d’onore anche per i genitori e i parenti che condividono queste immagini online (sharenting): possono creare involontariamente un’identità digitale del nascituro, passibile di furto d’identità o uso improprio.
Le implicazioni
Ne ravvedo molte, troppe. E nessuna tutela efficace che possa sconfiggere questo fenomeno in crescita.
- etica: la gravidanza non è un “oggetto”, e l’ecografia rappresenta una realtà biologica, potenzialmente un essere umano in formazione. Trattarla come “merce” o strumento di ricatto significa degradare la dimensione umana - non sono la persona adatta a parlare di implicazioni religiose, ma non è una casistica da escludere
 - privacy e tutela dei dati: le immagini ecografiche possono contenere metadati clinici, rilevabili dall’immagine, che, se associate ad un’identità, possono diventare strumenti di ricatto o frode
 - responsabilità professionale: i medici e le strutture sanitarie devono vigilare su come queste immagini vengono consegnate alle pazienti, su chi ha accesso, su come sono archiviate e protette
 - dimensione criminale/fraudolenta: anche se la prova che tutte queste immagini siano usate per frodi è limitata, il semplice potenziale altera la fiducia nei rapporti (affettivi, economici) e crea un mercato nero
 - società e cultura digitale: viviamo in un’epoca in cui la condivisione sui social, con chat e messaggi, è immediata; questo non significa che ogni immagine sia innocua e la “finestra” tra vita reale e vita digitale è sempre più permeabile, i soggetti sempre più vulnerabili (feti e neonati non possono difendersi da soli)
 
Anche se il caso citato è giapponese, la lezione della “ninshin sagi” è universale: ogni paese con marketplace online, con un’elevata cultura di condivisione digitale, può trovarsi ad affrontare varianti locali del fenomeno. La globalizzazione dei dati e la facilità di duplicazione/fruizione rendono questo tema rilevante ovunque. Esistono già scambi sul dark web di questo tipo di immagini, ma, come sempre accade, finché non viene scoperchiato il vaso, passa tutto dietro la porta.
In ottica di marketing e comunicazione, questo è un esempio di come un oggetto apparentemente innocuo (un’ecografia) si trasformi in bandiera multifunzionale: affettiva, mediatica, economica, criminale. È il tipo di casistica che cito agli studenti quando parlo di “immagine-valore nel marketing”: ogni immagine ha un contesto, un pubblico, una potenza simbolica. E da quella immagine ci sono decine di frecce virtuali che puntano ad altrettante situazioni che possono mettere in pericolo e/o in difficoltà una persona.
Il “cosa fare” è sempre il classico tiro al piattello: servirebbe sensibilizzare le strutture sanitarie e stabilire protocolli chiari sulla consegna, conservazione e diffusione delle immagini ecografiche. Servirebbe educare le pazienti (i futuri genitori in generale) sul rischio che alcune immagini escano dal privato e “diventino numeri” in un mercato parallelo. Servirebbero più controlli nei marketplace e sulle piattaforme di vendita, algoritmi in grado di riconoscere immagini cliniche, elaborare segnalazioni, correlare normative sui dati sensibili. Servirebbero leggi efficaci, forti e d’impatto - sempre ricordando che se scriviamo un cartello sul radiatore della macchina “non bere questa acqua”, è perché qualcuno ci ha provato. Nel bene o nel male, ci ha provato!
Questo sembra un passaggio da Ghost in The Shell, il film: in un mondo in cui la tecnologia e la cultura digitale corrono insieme, la distinzione tra privato e pubblico, tra “immagine affettiva” e “oggetto di scambio” si assottiglia. La trasparenza del mezzo amplifica la potenza e il rischio: ciò che un tempo rimaneva nell’album di famiglia ora può girare in rete, essere acquistato, venduto, usato.
Se la “culla della vita” può diventare merce, allora dobbiamo rialzare il livello della riflessione: sul rispetto, sulla responsabilità, sulla tutela.




