Emergenza un hazzo!

È già capitato di recente. “Io c’ero”, e non ero affatto felice di essere lì, nel centro dell’azione, anzi, nel centro dell’inazione dovuta al blocco totale di tutto ciò che funziona elettricamente. Tuttavia vivere in prima persona l’emergenza energetica spagnola è stato molto istruttivo: ho toccato con mano la fragilità di un intero sistema, messo a dura prova da un blackout.
Oggi, di nuovo, posso dire “io c’ero”, questa volta nel bel mezzo del caotico disastro scatenato da un’avaria ai radar di Linate, verificatosi pochi minuti dopo il decollo del “mio” aereo, mentre ero sul volo di rientrare da una lunga trasferta in sardegna.
Un’altra esperienza istruttiva, utile per sperimentare nuovamente la fragilità del sistema che, a volte, non può essere attribuita solo alla tecnologia o alla dipendenza dalle fonti di energia.
Si, certamente, il radar è una tecnologia essenziale per il controllo di volo e non si può certo rischiare un tamponamento a 400 nodi e a 28.000 piedi di altitudine, tuttavia ciò che non ha funzionato va ricercato altrove.
Volare è innaturale e, non essendo dotato di ali, quando mi capita di prendere un aereo non riesco a rilassarmi, e di sicuro non ci riesco se il “mio” l’aereo, diretto verso nord, inverte la rotta puntando improvvisamente verso sud.
È molto suggestivo vedere il tramonto che cambia lato, è interessante poter godere della doppia visuale, l’Elba e la costa maremmana e, pochi secondi dopo, la Corsica e Capraia, il tutto rimanendo comodamente al mio posto e guardando dallo stesso finestrino. Bello ma decisamente innaturale.

In molti, come me, hanno capito che stava accadendo qualcosa e, a quel punto, l’avviso del pilota era solo una pura formalità, ma lo si attendeva più che altro per riuscire a intuire la sorte imminente.
Ecco, questo messaggio all'interfono mi è sembrato un epic fail degno del cartello “OK PANIC”
“Gentili signori, qui è il comandante che vi parla, purtroppo… abbiamo dovuto invertire la rotta… e siamo in attesa di capire cosa stia succedendo…(pausa infinita) ci sono stati dei problemi per un guasto ai sistemi… (pausa eterna) ai radar dello scalo di milano linate … (pausa insostenibile) Purtroppo è indipendente dalla nostra volontà e resteremo in volo su questa zona fino a nuovo ordine… (pausa che sembra non finire mai) vi terremo aggiornati appena anche noi sapremo qualcosa.”
Il virgolettato è approssimativo, non ho la registrazione e vado a memoria ma ciò che conta non sono tanto le parole quanto i silenzi.
Peggio di così non poteva andare. Siamo fragili perché un comandante non dovrebbe essere solamente bravo a pilotare il 737, dovrebbe anche essere capace di evitare di generare insicurezza e paura, non può pensare come prima cosa a giustificarsi, non può nemmeno formulare le frasi in modo da far pensare ad un'imminente tragedia a bordo e, solo dopo, dare elementi che spostano la tragedia altrove. Le pause, il tono della voce, i termini utilizzati, ogni elemento della comunicazione mi è sembrato completamente sbagliato, il meno adatto alla circostanza. Si, lo so, sono strano, in quel momento non ho potuto fare a meno di analizzare la situazione, quasi come se dovessi preparare una relazione di audit. Forse è il mio modo per superare queste situazioni.
Dopo questo messaggio, decisamente migliorabile, sono affiorate le solite domande nella testa di ogni passeggero:
- Abbiamo carburante sufficiente per aspettare in volo? Per quanto?
- Cosa succede se non ci dicono niente? Per quanto tempo attendiamo passivamente?
- Con una guerra alle porte, siamo sicuri che sia solo un guasto?
- Quanto tempo occorre, di solito, per gestire un guasto di questo tipo?
- Quali sono gli scenari prevedibili e, nel caso di rientro allo scalo di partenza, ci dobbiamo arrangiare o saremo supportati dalla compagnia?
- Le famiglie sono state avvisate? Chi è in aeroporto ad aspettarci ha informazioni su di noi?
- Moriremo tutti?
- Sarà doloroso?
- È adesso che devo mettere il salvagente che mi è stato illustrato alla partenza?
- Quanto durerà la scorta di caffè?
Anche noi siamo fragili: ci spaventiamo se si accende una lucetta nuova sul cruscotto della macchina, come può reagire una persona comune di fronte a pensieri così complicati che si affastellano veloci nella testa?

Per fortuna il personale di bordo ha saputo intuire il problema e le hostess, soffermandosi di persona con ogni passeggero, hanno risposto a ogni domanda, spiegando cosa accade di solito in circostanze simili, cosa hanno vissuto nella loro esperienza, dimostrando che sono ancora li e che, quindi, non era successo nulla, rassicurando tutti e diffondendo un senso di normalità, di situazione sotto controllo. Decisamente brave. Le hostess hanno trasformato una "emergenza" in una situazione ordinaria e gestita.
Fatto sta che, dopo un po' di svolazzi in giro, il “mio” volo è stato dirottato sull’aeroporto di Pisa, atterrando poco dopo le 21:00. L’aeroporto di Pisa è rinomato tra i viaggiatori per essere il peggiore scalo d’Europa quanto a infrastrutture e servizi. Durante un'emergenza, che porta traffico inatteso fuori orario, si trasforma in un girone dell'inferno dantesco.
La gestione dei bagagli, sabato sera, era affidata a pochi bischeri che avevano pescato la pagliuzza corta, quelli in servizio, decisamente sottodimensionati rispetto alla situazione. Per vedere le prime valigie sono state necessarie due ore e, senza valigia, non si può lasciare la sala del ritiro bagagli.
Il locale non è stato progettato per le attese. In effetti, è lecito supporre che i bagagli siano consegnati in un tempo ragionevole e, forse per questo, non erano presenti punti di ricarica per cellulari. Ma la cialtronaggine pisana è stata provvida: la predisposizione per cinque monitor, non ancora installati, ha lasciato accessibili cinque prese elettriche anche se posizionate a 180 cm da terra. Una manna per 2000 passeggeri esasperati.
I distributori di bottigliette d’acqua non hanno superato la prova, esaurendosi in fretta e lasciando la maggior parte delle persone senza conforto.
Il fatto che non fossero disponibili bevande o merendine ha contribuito a diminuire i bisogni fisiologici e, di conseguenza, l’impatto sui bagni, non puliti da ore e, ormai, in condizioni indegne.
Persino l'areazione del locale ha capitolato, arrivando ad accumulare livelli di CO2 insostenibili per chiunque. Secondo la rilevazione del mio Aranet4 Home (sempre con me) il ritiro bagagli si è trasformato in una camera a gas.
Finalmente i bagagli. Nella sfortuna, il mio è stato uno dei primi a ruzzolare sul nastro così sono sgattaiolato fuori alla ricerca di un mezzo di trasporto.
Ormai l'orologio segnava le 23:00 i servizi aeroportuali erano praticamente tutti chiusi, bar, assistenza, banco informazioni.
Essere li equivaleva essere in un deserto.
Le ultime 4 corse dell’avveniristico shuttle erano palesemente insufficienti per l'eccezionale carico di lavoro, ce ne sarebbero volute 20 in più ma, si sa, l'orario di chiusura va rispettato.
Dei taxi penso che sia meglio non parlare, anzi, vanno capiti: poveretti, loro sì che hanno un valido motivo per non essere presenti in aeroporto. Del resto, chi mai sacrificherebbe le proprie serate o lavorerebbe fuori orario per 14.000 Euro lordi all’anno. Trovo irrispettoso persino formare una fila di diverse centinaia di metri in attesa di questi benefattori che, come unico compenso, possono solo sperare nella gloria.
I banchi degli autonoleggi, lontanissimi, erano per metà chiusi e i primi a chiudere sono stati proprio i big, i grandi gestori, quelli con le flotte più numerose e presenti in tutta Italia, ma sono anche quelli con gli addetti meno interessati al fatturato. Poco importa che stiano arrivando frotte di disperati clienti a chi, ormai a fine turno, vuole solo andare a giocare a mazzascudo con i compagni di merende. Solo qualche autonoleggio locale ha intuito l'affare e ha tenuto aperto oltre l'orario, purtroppo con poco successo perché le autovetture dovevano essere riportate proprio li, in aeroporto... quindi erano poco utili a chi voleva rientrare a Milano o in altre località... ho sentito un passeggero chiedere il drop a Cannes. Mi ha fatto tenerezza.
La cosa più bella è stato il messaggio giunto dagli altoparlanti dell'aeroporto:
Si informano i signori passeggeri he, a hausa dell'assenza di personale di supporto lo shalo di Pisa non potrà prestare assistenza a terra. Si invitano i signori passeggeri a provvedere in autonomia per quanto necessario, hontattando successivamente l'assistenza per attivare le procedure previste dal singolo vettore.
Anche in questo caso il virogolettato è approssimativo ma il concetto era molto chiaro: "batte sega, so' hazzi tua".
È normale che uno scalo sia disadorno negli orari di bassa affluenza, ma durante un’emergenza, con migliaia di persone nella struttura, le norme lavoristiche, i limiti contrattuali, le rigidità organizzative, i diritti inalienabili, le conquiste sociali pesano come macigni ed impediscono di gestire la situazione, amplificando le conseguenze di un guasto radar che, con adeguato supporto, sarebbe potuto essere assorbito facilmente.
Siamo fragili perché, se hai bisogno di spostare 2000 persone dopo l’orario canonico di lavoro, non c'è alcuna possibilità di farlo e l'unica soluzione è defilarsi.
Ovviamente nessuno pretende che i malcapitati lavoratori che hanno avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato, vale a dire nello scalo di Pisa durante l’emergenza, debbano far fronte allo tsunami in arrivo. Tuttavia non è accettabile che non esistano (o non vengano attivati) piani per la gestione dell’emergenza.
Ma ha senso parlare di “emergenza”?
Il nostro mondo è organizzato sulla base della speranza, non della gestione degli scenari possibili. La nostra speranza che vada sempre tutto bene è incrollabile, anche perché, qualsiasi cosa accada, non ci sono risorse da impiegare per gestire gli scenari che si confida che non accadano mai. Per rendere questa triste prospettiva accettabile, alcuni scenari vengono definiti “emergenze”, ma sono solo circostanze che, in realtà, di emergenziale non hanno proprio nulla, anzi, sono scenari noti, già accaduti, prevedibili, destinati a ripetersi nell’immediato futuro.
Non essere pronti a gestire ciò che si può verificare in ogni momento significa aver scelto di rinunciare a gestire qualsiasi scenario che esuli dalla più rosea delle ipotesi.
Nel mio mondo fatto di prevenzione, di valutazioni di impatto, di analisi degli scenari possibili, un approccio simile è semplicemente fallimentare. La speranza non è una strategia.
Ad alimentare questo drammatico scenario hanno concorso e collaborano attivamente tutti: i decisori politici presenti e del passato, i singoli lavoratori impiegati, le loro rappresentanze sindacali, persino l’opinione pubblica che, suggestionata dal concetto di “emergenza”, finisce per partecipare alla rimozione collettiva dell’unica triste e banalissima verità: siamo estremamente fragili e non facciamo nulla per migliorare la situazione.
Quanto siamo disposti ad alzarci dal letto per onorare quella clausoletta di reperibilità, scritta nel contratto?
Quanto è scomodo dover richiamare in servizio i propri collaboratori, sapendo che questo comporterà malcontento generale?
Quanto tempo sarà necessario per gestire l’ondata di certificati medici che giustificano le assenze di chi dovrebbe gestire l'emergenza ma si scorpe affetto da improvvise e provvidenziali malattie immaginarie?
Probabilmente per rimediare a tutto questo sarà organizzato un fantastico sciopero, naturalmente di venerdì.
La fragilità che ci contraddistingue è qualcosa a cui non siamo pronti a rinunciare, anche perché significherebbe rendersi conto di essere parte del problema e nessuno vuole ad ammetterlo. Meglio leggere l'oroscopo e cercare un alibi o un capro espiatorio.
Nel mio piccolo sono una eccezione, ma facendo autoanalisi per mettere in ordine di priorità i miei numerosi margini di miglioramento ho avuto una folgorazione: io c’ero, anzi, io ci sono sempre!
Forse è ora che mi faccia delle domande, quelle giuste, intendo.
Per la cronaca… direi che ho capito, siamo fragili, lo so e lo confermo, non c’è bisogno di altre dimostrazioni plateali per ribadire il concetto, lo scrivo qui qualora tutto ciò non fosse completamente casuale.
Il sospetto si fa avanti anche perché scrivo queste righe mente, a casa, come tutti nel paesello, siamo senza corrente da più di un ora perché, pare, ci sia un guasto… che è il nuovo modo per classificare lo sgancio programmato di elettricità, utilissimo per far fronte alla straordinaria richiesta di energia dovuta all’”emergenza” caldo. Si, proprio così, si sceglie di lasciare un pò di gente al buio per un po di tempo in modo da abbassare il consumo e non generare situazioni complicate per l'intero sistema. Un sistema molto fragie che, per restare in piedi, sacrifica volentieri piccoli gruppi dei suoi membri, quelli nel posto sbagliato nel momento sbagliato...
Secondo questa logica si potrebbe lasciare a terra un aereo su 5 e farli viaggiare pieni a metà per evitare il congestionamento degli scali in caso di guasti ed "emergenza".
È Luglio.
L'oroscopo del tuo segno ha previsto che farai un viaggio in terre lontane?
Allora... buona fortuna! ...come te, in aeroporto ci sarà 1/12 della popolazione.